sabato 31 gennaio 2009
CIAO A TUTTI!!
volevo ringraziarvi per l'invito, le foto erano bellissime.
siamo stati molto bene in vostra compagnia, grazie ancora!
Verremo SICURAMENTE e molto volentieri a fare tuffi insieme a voi ( quando saremo meno freddolosi :-) ) e anche alle iniziative di cui ci parlava Cristian, se possiamo partecipare ci farebbe piacere!!
un salutone.
Vale.
PS : mi coreggo, la Clavelina di cui parlavamo appartiene al gruppo dei TUNICATI
buone bolle!
venerdì 30 gennaio 2009
FINALMENTE IN ACQUA!!!!!
GRAZIE VALENTINA!!!
Valentina è una bella ragazza single quindi per conoscerla dovrete fare la specializzazione PSS di biologia...scherzo!!!
PREMIO FIPSAS MELORIA PRIMO TROFEO PIETRO ZANOBINI
GAV "TECNICO" O EQUILIBRATORE A SACCO POSTERIORE
i gav col sacco posteriore (o a volume posteriore): il sacco è tutto posizionato posteriormente e sui due lati della bombola. Consente grandi volumi senza creare impaccio al subacqueo. La parte anteriore, libera da ingombri permette di muoversi al meglio. Il sacco posteriore è scelto di un volume idoneo a dare una spinta capace di sopportare il peso dell’attrezzatura normalmente usata dai subacquei tecnici o dagli amanti della fotografia e della ripresa subacquea. Essendo modulari sono facilmente personalizzabili e pertanto in grado di soddisfare qualunque esigenza potendo crescere insieme alle esigenze del subacqueo. I gav tecnici sono tutti a sacco posteriore fatto a ferro di cavallo, di grande capacità (fino a 40+40 litri). Gli elastici posti intorno al sacco, servono per velocizzare lo scarico dell'aria e possono essere regolati in base alle proprie esigenze, le valvole di scarico sono in genere 3, ma anche di più nella versione a doppio sacco, l'aria è scaricata attraverso un corrugato molto lungo che dispone dei soliti comandi "carico-scarico". La piastra di metallo che costituisce "l'ossatura" del gav, ottimizza anche l'assetto, infatti nei modelli "inox" il peso è di 3kg, consentendo una miglior distribuzione della zavorra e attraverso delle apposite fessure la sistemazione dell'imbraco, costituito da fascie di cordura molto resistenti. Sul medesimo sono poste due imbottiture all'altezza spalle, per consentire un minore stress alle articolazioni ed evitare possibili danni alla muta da "sfregamento"! Vari d-ring in acciaio e fibbie "fastex"(sgancio rapido), la loro utilità è già stata trattata nel precedente articolo...veniamo alle tasche(vedi foto), si notano due tipi, il primo con apertura verso l'alto(classica) per depositare tabelle e vari ogetti e la seconda con l'apertura verso il basso. Questo tipo di "tasca" serve per la zavorra, infatti in caso che sia indispensabile abbandonare il "piombo", basterà aprire la piccola fibbia(fastex) ed il peso cadrà giù senza troppe difficoltà!
Proprio grazie ai fastex, ogni sub può regolare facilmente i vari cinghiaggi e adattare alla corporatura esile o robusta che sia il GAV.
Ovviamente in caso di primo acquisto, rivolgetivi sempre al proprio istruttore!
buone bolle!!!
giovedì 29 gennaio 2009
Rhizostoma pulmonaria-Polmone di mare
Si tratta della più comune medusa dei nostri mari e deve il proprio nome specifico alle ritmiche contrazioni dell'ombrella che richiamano alla memoria l'atto respiratorio del polmone.
Il suo corpo ha colore lattiginoso, mentre il bordo dell'ombrella e le terminazioni delle braccia sono di un blu intenso.
La forma generica di una medusa è quella di un polipo rovesciato. Può essere immaginata come un sacco leggermente appiattito, dove si riconoscono una zona superiore convessa, l'esombrella, ed una regione inferiore concava, detta subombrella, al cui centro è posta la bocca. Dal margine subombrellare si propagano dei tentacoli urticanti a scopo di difesa e di predazione.
Le meduse hanno il corpo composto principalmente da acqua (circa il 98%) infatti, se si prende una medusa e la si lascia su un sasso al sole, dopo un po' di tempo incomincerà a sciogliersi.
L'ipnossina ha effetto anestetico, quindi paralizzante; la talassina ha un comportamento allergenico che causa una risposta infiammatoria; la congestina paralizza l'apparato circolatorio e respiratorio.
Può raggiungere 40 cm di diametro ed ha una levata capacità contrattile; ciò permette all'animale di nuotare bene.
Possono essere avvistate, sia al largo che sotto costa, specialmente nei mesi di Settembre ed Ottobre, mentre nuota attivamente a pelo d'acqua.
Gli cnidociti dei polmoni di mare non sono urticanti per l'uomo, poichè troppo blandi. Fra le braccia è possibile scorgere spesso piccoli pesciolini che trovano protezione e sicurezza di un riferimento nel mare aperto; una sorta di "casa galleggiante".
mercoledì 28 gennaio 2009
Paramucea clavata- Gorgonia rossa
La gorgonia rossa appartiene al phylum degli Cnidari in particolare alla classe degli Antozoi.
Si presenta come una formazione arborescente con fitte ramificazioni di colore rosso scuro, che formano ventagli che possono raggiungere dimensioni fino ad un metro di altezza. I rami terminali, a forma di clava( da questo deriva il nome scientifico), sono a volte di colore giallo.
Lo scheletro è di materiale proteico; la superficie presenta spicole calcaree che fungono da rifugio per i polipi, che sono retrattili.
Forma delle vere e proprie colonie che assumono l'aspetto di un bosco sommerso.
Associati alla gorgonia vi è una moltitudine di orgamismi marini, come pesci e invertebrati di ogni specie, in peritcolare echinodermi (stelle marine).
È una specie tipica del Mediterraneo.
Abita i fondali rocciosi solitamente profondi da 25-30 fino a oltre 100 metri, privilegiando gli anfratti poco raggiunti dalla luce. È infatti una specie definita sciafila, cioè amante della penombra.
In passato le colonie di gorgonia rossa erano molto numerose, oggi si assiste ad un loro declino in tutto il Mediterraneo, soprattutto nelle acque superficiali in conseguenza del riscaldamento delle acque.
Altri fattori che ne minacciano la sopravvivenza sono la raccolta indiscriminata da parte dei subacquei, e i danni inferti dalla pesca a strascico.(invito tutti ad un comportamento responsabile).
È una specie molto fragile e ad accrescimento molto lento. In virtù di tali caratteristiche è considerata un biondicatore dell'equilibrio dell'ecosistema marino.
Immersione profonda in aria
Personalmente l' ho praticata e vi assicuro che in qualsiasi giorno può capitare la giornata storta.
Dire che è possibile praticarla è come dire (e non è un esempio di mia proprietà!) di frequentare ambigue signorine anche molto attraenti, ma senza le dovute precauzioni: b i s o g n a f a r e a t t e n z i o n e !!!
Ricordo ancora quella volta che a poco più di 62 mt, per ben 3 volte ho accusato dei seri black-out, cosa che non era mai accaduta e del tutto inaspettata! Senza dubbio aveva influito il mal funzionamento di un erogatore, la stanchezza, il lungo viaggio verso il mare con sveglia alle 4 del mattino, ecc... ecc... ma che brutta esperienza...risolta semplicemente respirando profondamente e risalendo di qualche metro.
In questi casi non ci sono precauzioni: servono buoni erogatori, autocontrollo, addestramento e risalire fino ad una quota di maggiore sicurezza!
Quanto è il limite raggiungibile?La risposta è che varia da persona a persona, da immersione a immersione, di momento in momento!
Non fidiamoci delle nostre esperienze precedenti: la giornata storta capita quando meno te lo aspetti!
A tutti voi grandiosi tuffi nell'immenso blu!!!... macchè ... in bocca al pescecane!!!!!!!!
Octpus vulgaris-Polpo
Vive a profondità variabili fino ad un massimo di 30 metri.
Può raggiungere il metro di lunghezza.
Possiede un evoluto sistema nervoso, capace di trasmettere la sua conoscenza ad altri individui e si dimostra interessato al gioco x puro divertimento.
Ha la capacità di cambiare colore molto velocemente e con grande precisione nel dettaglio. Grazie a questa abilità riesce a mimetizzarsi e a comunicare con i suoi simili. Questo è dovuto alla presenza di cellule dette cromatofore.
Nel polpo è spiccato il senso di maternità e cura della prole, infatti dopo che la femmina del polpo ha deposto le uova, le difende da possibili predatori fino alla schiusa.
In questo periodo di 1-2 mesi non si nutre perdendo una gran parte del suo peso e spesso rischiando la morte.
Caratteristica principale è la presenza di una doppia fila di ventose su ognuno degli otto tentacoli Al centro degli otto tentacoli, sulla parte inferiore dell'animale, si trova la bocca che termina con un becco corneo utilizzato per rompere gusci di conchiglie e ilcarapace dei crostacei dei quali si nutre.
Il Polpo è in grado di spostarsi rapidamente espellendo con forza l'acqua attraverso un sifone, lo stesso da cui viene espulso l'inchiostro nero utilizzato per confondere possibili predatori.
L'intelligenza di questo animale si denota anche dal fatto che, una volta pescato è in grado di guadagnarsi la libertà uscendo per i boccaporti delle navi, e, rinchiudendo una preda in un barattolo, è in grado di aprirlo per cibarsene.
E' solito acquattarsi sotto gli anfratti rocciosi del fondo marino, a volte invece vive in tane preparate con delle pietre disposte in senso circolare.
martedì 27 gennaio 2009
SONDAGGIO IL TUO ISTRUTTORE IDEALE, RISULTATO FINALE!
Il modello istruttore alla "FULL METAL JACKET" è risultato prevalere, quindi domani tutti belli e profumati con pinne perfettamente lucide sugli scogli di Livorno per un ripassino di nuoto contro le onde alte 30 metri sotto le raffiche di mitra, capito "palla di lardo"????
chi sopravviverà, potrà accedere al corso Open Water Diver...
buone bolle!
JACKET CARATTERISTICHE PRINCIPALI
Il nostro gav è dotato di un tubo corrugato e due "bottoni", uno per caricare l'aria attraverso una frusta di bassa pressione collegata al primo stadio e un'altro con lo scopo di scaricare l'aria, alzando il tubo verso l'alto(vedi corso OWD). Guardando bene il jacket, notiamo delle valvole e delle "cordicelle" incorporate, ebbene queste servono in caso sia d'emergenza, per scaricare manualmente in modo rapido, ma anche in situazione dove a causa di un malfunzionamento, il sacco si gonfia rapidamente facendoci assumere un asetto positivo, quindi in questo caso la valvola automaticamente scarica l'aria in eccesso onde evitare una rottura derivata dalla sovrapressione! Continuando con le varie caratteristiche notiamo che gli spallacci hanno in dotazione degli sganci rapidi(in plastica) ovvero delle fibbie molto spesso basculanti, in grado di adattarsi alla conformazione fisica del subacqueo e sono perfettamente regolabili tramite la trazione di un d-ring posto sulla striscia di nilon che compone l'imbrago. Abbiamo anche della fibbie molto piccole cosi dette "sternali" con le stesse caratteristiche delle precedenti e un fascione ventrale in velcro che viene chiuso con l'aggiunta di un'altra fibbia(sempre a sgancio rapido) regolabile.
Nella parte posteriore, troviamo il sistema di aggancio per la bombola, composto da una fascia(talvolta due) di cordura/nylon, velcro e una fibbia in plastica o metallo(sistema brevettato scubapro) il tutto ovviamente regolabile in base alle dimensioni del nostro "contenitore" d'aria, in aggiunta nella parte superiore c'è un piccolo "occhiello" di cordura da applicare alla rubinetteria per evitare possibili "perdite"!
lunedì 26 gennaio 2009
L'ULTIMA EVOLUZIONE DEL GAV(introduzione)
venerdì 23 gennaio 2009
L'importanza di un buon brifing seguito da un de-brifing
Finalmente anche in Italia, le porte per questa attività si aprono sempre più anche per le persone con un Handicap, che in acqua dimostrano di possedere delle formidabili doti subacquee, talvolta superando le aspettative del proprio istruttore-accompagnatore. Noi dobbiamo renderci conto anche di altre realtà e provare a condividere certe emozioni, che vi assicuro sono fortissime! Iniziare a frequentare un corso come "buddy" o istuttore HSA, vuol dire responsabilità e aggiungere un
grado in più alla nostra personale formazione come diver o professionista del
mondo sommerso!
buone bolle!!!
giovedì 22 gennaio 2009
L'importanza delle soste di sicurezza profonde
Molto prima che il concetto di "technical diving" prendesse piede, avevo già fatto molte immersioni alla profondità di 60-70 metri (180-220 feet). Dato il gran numero di immersioni di questo tipo, cominciai a prendere nota dei profili seguiti. Abbastanza spesso dopo queste immersioni, avvertivo un certo livello di affaticamento o di malessere. Era chiaro che tali sintomi post-immersione avevano più a che fare con l'assorbimento di gas inerte che non con lo sforzo fisico fisico o con l'esposizione al freddo, dato che i sintomi conseguenti ad una immersione di meno di un'ora a 70 metri erano più consistenti di quelli manifestati dopo la permanenza di 4-6 ore a quote meno profonde.
La cosa interessante fu che questi sintomi non erano particolarmente consistenti. Talvolta non percepivo assolutamente alcun sintomo. Altre volte avevo talmente tanto sonno dopo l'immersione da non riuscire quasi a guidare sulla strada di casa. Provai a correlare la gravità dei sintomi con una grande quantità di variabili come la "magnitudine" dell'esposizione, la durata della sosta a 3 metri (10 feet), la forza della corrente, la limpidezza e la temperatura dell'acqua, quanto avevo dormito la notte precedente, il livello di disidratazione... ma nessuno di questi parametri sembrò avere una relazione con l'insorgenza dei sintomi. Finalmente scoprii di cosa si trattava: pesci! Esatto: dopo le immersioni in cui raccoglievo pesci per l'acquario, difficilmente mi sentivo affaticato. Nelle altre immersioni, invece, i sintomi tendevano ad essere abbastanza importanti. Fui veramente impressionato dalla forte correlazione tra le due variabili.
Ma apparentemente ciò non aveva alcun senso. Cosa potevano avere a che fare tali sintomi con i pesci? Infatti, mi sarei aspettato sintomi più rilevanti dopo le immersioni in cui raccoglievo i pesci dato che il livello di sforzo sul fondo durante tali immersioni era consistente (acchiappare i pesci non è sempre facile). Ma c'era un particolare. Come molti di voi sanno, la maggior parte dei pesci è dotata di un organo detto "vescica natatoria", pieno di gas, di cui si servono per regolare il loro assetto idrostatico. Se un pesce viene portato improvvisamente in superficie dalla profondità di 70 metri , la sua vescica natatoria tenderà ad espandersi fino ad otto volte il suo volume originario danneggiando gli altri organi. Dato che lo scopo delle mie immersioni era la collezione di esemplari vivi, ero costretto a fermarmi durante la risalita ad una certa quota per inserire temporaneamente un ago ipodermico nella vescica dei pesci allo scopo di consentire la fuoriuscita del gas in eccesso. Tipicamente, la quota a cui mi fermavo per questa operazione era di gran lunga più profonda della mia prima tappa richiesta per la decompressione. Ad esempio, mediamente, per immersioni di 70 metri (200 feet) la mia prima sosta di decompressione era richiesta intorno ai 17 metri (50 feet), ma la profondità a cui mi dovevo fermare per i pesci era a circa 40 metri (125 feet). Perciò, quando andavo a raccogliere pesci, i miei profili di risalita comprendevano di fatto una sosta di decompressione in più ("extra-stop") di 2-3 minuti ad una quota molto più profonda della mia prima sosta "richiesta" per la decompressione. Sfortunatamente neanche questo sembrava avere alcun senso. Chi ragiona soltanto in termini di tensione di gas disciolto nel sangue e nei tessuti (come fanno quasi tutti gli algoritmi di decompressione in uso attualmente), si aspetta che tale sosta profonda faccia soltanto aumentare i problemi di decompressione, in ragione del maggior tempo trascorso ad una elevata profondità.
Con lo spirito di uno sperimentatore, credendo più nell'esperienza nel mondo reale che non nel dato calcolato su un modello astratto, decisi di cominciare ad includere una sosta profonda in tutte le mie immersioni, anche quando non raccoglievo pesci. Indovinate? I miei sintomi e l'affaticamento praticamente scomparvero del tutto! Fu davvero sorprendente! Voglio dire che cominciai a fare dei lavori nei pomeriggi e nelle sere dei giorni nella cui mattina avevo fatto una immersione profonda.Cominciai a dire in giro della mia incredibile scoperta, ma ebbi soltanto risposte scettiche, ed i severi commenti di alcuni "esperti" che sottolineavano come la mia intuizione dovesse essere errata. "Naturalmente," mi dicevano, "devi abbandonare le quote profonde più rapidamente possibile per ridurre al minimo un ulteriore assorbimento di gas." Non essendo una persona che accetta facilmente il confronto, continuai con la mia abitudine di includere nei profili di riemersione queste "soste di decompressione profonda". Col passare degli anni mi feci sempre più convinto della validità di tali soste per ridurre la probabilità di malessere da decompressione (DCS - decompression sickness). In tutti i casi in cui ebbi qualche tipo di sintomo post immersione, dalla fatica all'apatia fino ad un caso di tetraplegia, riscontrai trattarsi di immersioni in cui avevo omesso la sosta di decompressione profonda.
Da scienziato professionista quale sono, sentii il bisogno di capire i meccanismi che causavano il feomeno osservato. E fui sempre disorientato dall'apparente paradosso dei miei profili d'immersione. Fino a quando non ho avuto l'occasione di assistere ad una relazione del Dr. David Yount all'incontro del 1989 dell'American Academy of Underwater Sciences (AAUS). Per chi non lo conoscesse, il Dr. Yount è un professore di fisica all'Università delle Hawaii, ed è uno dei creatori del modello di calcolo per la decompressione detto "VPM" (Varying-Permeability Model). Questo modello considera la presenza di "micronuclei" (bolle gassose) nel sangue e nei tessuti e studia i fattori che fanno espandere o comprimere queste bolle durante la decompressione. Su tali basi il VPM fissa le sue prime soste di decompressione (le più profonde) a quote ben più profonde di quanto richiedono i modelli di calcolo di tipo "neo-Haldaniano" (per intenderci quelli basati su "compartmenti"). Finalmente tutto cominciò ad avere un senso. (Per sapere qualcosa sul VPM, leggi il capitolo 6 del Best Publishing's Hyperbaric Medicine and Physiology; Yount, 1988.)
Anche se, come ho già detto, non sono un esperto di fisiologia iperbarica, permettimi di spiegare il fenomeno in termini che un buon subacqueo dovrebbe capire. Per prima cosa, la maggior parte dei lettori dovrebbe già sapere che che una certa quantità di bolle nel sangue è rilevabile dopo la maggior parte delle immersioni, comprese quelle "in curva", cioè quelle che non richiedono soste di decompressione. Si tratta di bolle cosiddette "silenti" dato che sono presenti senza causare sintomi di alcun genere e possono essere rilevate soltanto attraverso esami medici (eco-doppler). Ora, la maggior parte delle immersioni profonde con decompressione effettuate da "technical divers" (da contrapporsi ai subacquei commerciali o militari) sono immersioni molto sotto-saturate. In altre parole, hanno dei tempi di fondo relativamente brevi (in questo contesto considero "breve" un tempo di fondo di 2 ore a 100 metri (300 feet). In funzione della profondità e della durata dell'immersione e della miscela usata, c'è solitamente una distanza relativamente grande tra il fondo e la prima sosta di decompressione calcolata da un modello "a compartimenti". Più è breve il tempo di fondo e più questa distanza aumenta. E' opinione diffusa che bisogni passare meno tempo possibile alle quote profonde per minimizzare l'assorbimento supplementare di gas. Molta gente crede inoltre che si debba usare una maggiore velocità di risalita nella porzione più profonda della risalita stessa. Il punto è che i subacquei sono soliti effettuare risalite con sbalzi di pressione ambientale relativamente drastici in tempi molto brevi.
Credo che il problema stia proprio qui. Forse dipende dal tempo impiegato dal sangue a percorrere l'intero sistema circolatorio di un subacqueo medio. Forse dipende dalle piccolissime bolle che si formano al passare del sangue attraverso le valvole del cuore, crescendo di misura per via della diffusione del gas nel sangue circostante. Qualunque sia la ragione fisiologica, io credo che le bolle si formino e/o siano indotte a crescere di misura durante laprima risalita dalla profondità. Hoimparato molto sulla fisica delle bolle nell'ultimo anno, più di quanto voglio esporre qui - lascio l'argomento a chi è davvero esperto in materia. Per ora basta dire che il fatto che una bolla si espanda o si contragga dipende da un complesso sistema di fattori, compresa la dimensione stessa della bolla in ogni momento. Le bolle più piccole hanno maggiore attitudine ad essere smaltite durante la decompressione, mentre quelle più grandi tendono a crescere e possibilmente ad evolvere in "malessere da decompressione" (DCS - Decompression Sickness). Per questo, per ridurre al massimo le probabilità di DCS, è molto importante contenere la misura delle bolle. Una risalita rapida dalla quota profonda alla prima tappa richiesta per la decompressione non è il modo migliore per mantenere piccola la misura delle bolle! Al contrario, rallentare tale risalita (magari includendo una o più soste di decompressione "profonde") può servire a mantenere le bolle abbastanza piccole da consentire il loro smaltimento durante le successive soste di decompressione.
Se c'è del vero in tutto ciò, penso che la grande variabilità nell'incidenza di DCS sia molto più legata al profilo di risalita dal fondo alla prima tappa di decompressione, di quanto lo sia al resto del profilo di decompressione. Il malessere da decompressione è un fenomeno straordinariamente complesso, più di quanto i migliori studiosi di fisiologia iperbarica siano stati capaci di spiegare. E sarebbe un'illusione pensare di poterlo comprendere del tutto, anche per via dell'estrema complessità del nostro organismo; complessità che rende impossibile elaborare dei calcoli esatti in grado di evitare certamente il malessere da decompressione. Ma penso che noi (mi riferisco ai subacquei che effettuano decompressioni per imersioni sotto-saturate) possiamo ridurre sensibilmente le probabilità di incidente se cambiamo il modo di effettuare la nostra risalita iniziale dal fondo.
Alcuni di voi staranno pensando "Ma se ha detto di non essere un esperto in medicina iperbarica, perchè dovrei credergli?" Ed è proprio quello che voglio che pensiate, dato che non dovreste credermi per fede, non me soltanto, almeno. Perchè non cercate allora sul numero di Settembre '95 di DeepTech (Numero 3) l'articolo di Bruce Weinke? So che tratta argomenti molto specialistici, ma dovreste leggerlo e rileggerlo fino a comprenderlo del tutto. Perchè non chiamate aquaCorps ed ordinate il nastro numero 9 ("Bubble Decompression Strategies") dalla conferenza tek.95 ed ascoltate Eric Maiken spiegare un po' di cose sulla fisica dei gas che probabilmente non sapevate. Già che ci siete, perchè non ordinate il nastro della sessione "Understanding Trimix Tables" alla recente conferenza tek.96? Potrete ascoltare Andre Galerne (arguably il "padre del trimix") raccontare come l'incidenza di casi di DCS si sia drasticamente ridotta quando hanno aggiunto una sosta "extra" di decompressione profonda oltre a quelle che sarebbero state richieste dalle tabelle. Sullo stesso nastro potete ascoltare Jean-Pierre Imbert della COMEX (la società commerciale francese che ha realizzato alcune delle operazioni subacquee più profonde del mondo) parlare su nuovi profili di decompressione che includono soste iniziali molto più profonde di quelle prescritte dalla maggior parte delle tabelle. Perchè non chiedete a George Irvine cosa voleva dire quando suggeriva di aggiungere nel piano di risalita "tre o quattro brevi soste profonde prima della prima sosta prescritta dall'algoritmo di decompressione" nel numero di Gennaio '96 di DeepTech (Numero 4)? Se non basta, leggete l'editoriale del Dr. Peter Bennett nel numero di Gennaio/Febbraio 1996 dell'Alert Diver magazine; viena trattato sostanzialmente questo stesso argomento nel contesto delle immersioni ricreative. Se volete infine leggere un argomento veramente chiarificatore, vedete se potete reperire il rapporto sulle abitudini dei pescatori subacquei nello Stretto di Torres scritto da LeMessurier and Hills (riportato nella bibliografia di questo articolo). La lista potrebbe continuare ancora. Il fatto è che non mi sembra di essere il solo a richiamare l'utilità delle soste di decompressione profonde.
Siete ancora scettici? Rispondete a questo: Credete che la cosittetta "sosta di sicurezza" alla fine delle cosiddete "immersioni senza decompressione" [o meglio "in curva di sicurezza", NDT] sia utile a ridurre drasticamente l'incidenza percentuale degli incidenti da decompressione? Se pensate di no, date un'occhiata alle statistiche redatte dal Diver's Alert Network e vi ricrederete. Ma la sosta "di sicurezza" è esattamente una "sosta profonda" dell'immersione "in curva". Se vi fa sentire meglio, allora potete guardare la sosta profonda come una "sosta profonda di sicurezza" da farsi prima di risalire alla prima sosta di decompressione "richiesta". Pensate così: La vostra prima sosta di decompressione "richiesta" è funzionalmente equivalente all'emersione effettuata "al limite di curva". Non credete che per le immersioni "al limite di curva" la "sosta di sicurezza" sia ancora più importante?
Alcuni di voi staranno pensando: "Io faccio già soste di sicurezza nelle mie immersioni con decompressione: mi fermo sempre 3-6 metri al di sotto della mia prima sosta richiesta." Anche se questo è un passo nella direzione giusta, non è quello di cui sto parlando. Vi chiederete che differenza c'è tra una sosta a 5 metri di profondità in una immersione in curva ed una sosta 5 metri al di sotto della prima prescritta per la decompressione. La differenza è che, dato che le soste di sicurezza hanno lo scopo di prevenire o limitare la crescita delle bolle, e tale crescita è in parte funzione della variazione di pressione ambientale, quindi non una funzione lineare della distanza. Supponiamo che, dopo una immersione a 25 metri (75 feet), facciate la classica sosta di sicurezza a 5 metri. La pressione ambientale in superficie è 1 ATA, mentre a 25 metri è circa 3,5 ATA ed ai 5 metri della vostra sosta di sicurezza è 1,5 ATA - che rappresenta approssimativamente il punto medio nel dislivello di pressione fra 3.5 ATA ed 1 ATA. Ora immaginiamo un'immersione a 60 metri (7 ATA) con una prima tappa richiesta a 15 metri (2,5 ATA). Il punto medio nella variazione di pressione ambiente si trova a (7+2,5)/2 = 4,75 ATA, cioè a poco meno di 40 metri. Allora, in una simile immersione, la sosta di sicurezza profonda andrebbe effettuata a circa 40 metri: esattamente la quota alla quale ero solito fermarmi per infilare gli aghi nella vescica dei miei pesciolini. Ma naturalmente la fisica e la fisiologia sono molto più complesse. Può darsi che il punto medio nella variazione di pressione ambiente non rappresenti la profondità ideale per le soste disicurezza. Infatti posso dirvi con discreta certezza che non lo sono. Da ciò che capisco dei modelli di decompressione "bubble-based", la prima sosta di decompressione dovrebbe essere funzione della variazione assoluta della pressione ambiente piuttosto che della variazione proporzionale e quindi dovrebbe essere ancora più profonda del punto medio nella variazione di pressione ambiente per la maggior parte delle nostre immersioni "con decompressione". Purtroppo io dubito seriamente che i computer da decompressione comincino ad implementare nei loro algoritmi i modelli di calcolo "bubble-based", almeno non nella loro forma completa. Fino ad allora noi sommozzatori avremo bisogno di una regola semplice da seguire e che non richieda l'ausilio di un elaboratore elettronico. Forse il metodo ideale potrebbe essere semplicemente di rallentare la velocità di risalita nella porzione profonda [cioè dal fondo alla prima tappa, NDT], ma purtroppo questo è un po' difficile da controllare, specialmente in acque libere. Penso che invece dovreste aggiungere una o più brevi soste per interrompere questa lunga porzione di risalita. Che ciò sia fisiologicamente corretto o no, dovreste pensare a tali soste come pause per consentire al vostro corpo di ambientarsi col cambio di pressione ambiente.
Ecco il mio metodo per determinare le soste di sicurezza profonde:
1) Calcolare tradizionalmente il profilo di decompressione per l'immersione da fare, usando un algoritmo qualsiasi .
2) Misurare la distanza dal fondo (al momento in cui comincia la risalita) alla prima sosta di decompressione "richiesta" e trovare il punto medio. Sarebbe più esatto usare il punto medio della variazione di pressione, ma per la maggior parte delle immersioni "tecniche" questo è molto vicino al punto medio della distanza lineare che è molto più semplice ed immediato da calcolare. Questa quota rappresenterà la prima tappa profonda di sicurezza a cui trascorrere 2-3 minuti.
3) Ricalcolare il prifilo di decompressione per una immersione cui è stata inclusa la tappa profonda di sicurezza (la maggior parte dei software è in grado di gestire una immersione multi-livello).
4) Se la distanza fra la prima sosta di sicurezza profonda e la prima sosta "richiesta" è maggiore di 10 metri (30 feet), aggiungere una seconda sosta di sicurezza profonda al punto medio fra la prima sosta di sicurezza profonda e la prima sosta "richiesta".
5) Ripetere se necessario finché la distanza fra l'ultima sosta di sicurezza e la prima sosta "richiesta" non si è ridotta a meno di 10 metri.
Per esempio, immaginiamo un'immersione in trimix a 100 metri (300 feet), per la quale il software da tavolo prescriva una prima sosta "richiesta" a 33 metri (100 feet). Bisognerà ricalcolare il profilo aggiungendo brevi soste (di 2 minuti) a 66, 50 e 40 metri (200, 150 e 125 feet). Naturalmente il software calcolerà un ulteriore assorbimento di gas inerte durante queste tappe ed allungherà di conseguenza le successive soste di decompressione. Comunque, secondo la mia esperienza (e, sembrerebbe, secondo l'esperienza di molti altri), la notevole riduzione della probabilità di incorrere in incidenti da decompressione non farà rimpiangere i costi di tale maggior tempo di decompressione. Infatti sarei pronto a scommettere che i benefici derivanti dalle soste profonde di sicurezza sono tali che potrebbero far ridurre il tempo totale di decompressione (consentendo di abbreviare le soste successive) conservando ancora un livello più basso di probabilità d'incidente. Ma finché questa mia convinzione non viene confortata da uno studio scientifico, teorico o sperimentale, sarà bene tenersi al sicuro ed effettuare integralmente tutte le soste prescritte e calcolabili con i software tradizionali. Un ultima cosa. Come già sanno tutti quelli che leggono la mia corrispondenza nei forum e nelle liste di discussione a cui partecipo, io sono un accanitosostenitore della responsabilità personale nell'attività subacquea. Se scegliete di seguire i miei consigli ed aggiungete le soste di sicurezza profonde nei vostri profili di decompressione, benissimo. Se scegliete invece di continuare a seguire i vostri profili di decompressione prodotti dal computer, altrettanto bene. Ma qualsiasi cosa facciate, sarete sempre tutalmente ed unicamente responsabili di ciò che vi accadrà sott'acqua! Siete mammiferi terrestri e non avete niente da andare a fare sott'acqua. Se non volete accettare responsabilità, rimanete all'asciutto. Se avrete spiacevoli conseguenze dopo un'immersione in cui avete effettuato soste di sicurezza profonde secondo il metodo suggerito da me, ricordate che è solo colpa vostra per aver seguito i consigli di un un "pesciolino", un dilettante!
Bibliografia:
Bennett, P.B. 1996. Rate of ascent revisited. Alert Diver, January/February 1996: 2.
Hamilton, B. and G. Irvine. 1996. A hard look at decompression software. DeepTech, No. 4 (January 1996): 19- 23
LeMessurier, D.H. and B.A. Hills. 1965. Decompression sickness: A thermodynamic approach arising from a study of Torres Strait diving techniques. Scientific Results of Marine Biological Research. Nr. 48: Essays in Marine Physiology, OSLO Universitetsforlaget: 54-84.
Weinke, B. 1995. The reduced gradient bubble model and phase mechanics. DeepTech, No. 3 (September 1995): 29-37.
Yount, D.E. 1988. Chapter 6. Theoretical considerations of Safe Decompression. In: Hyperbaric Medicine and Physiology (Y-C Lin and A.K.C. Niu, eds.), Best Publishing Co., San Pedro, pp. 69-97.
FRUSTE SERIE "EXTREME"
Abbiamo testato questo tipo di frusta in diverse condizioni d'immersione, con differente configurazioni e simulando varie situazioni d'emergerza, il risultato è stato buono anche se sono nati alcuni dubbi, infatti non essendo rivestite con la normale gomma, risultano leggermente "positive" e questo può essere un problema specialmente con la Configurazione Hogarthiana. La frusta risulta estremamente(come dal suo nome) flessibile, aiutando non poco la sistemazione ottimale al momento del montaggio del gruppo a.r.a. e durante la donazione(frusta da 2,10) al compagno rimasto senza aria con piena libertà di movimento, ma anche al momento di riporre l'attrezzatura in borsa, facilitando le "curve" senza tenzioni dannose per la frusta. Ecco alcune caratteristiche:i tubi di questa serie sono caratterizzati dalla copertura esterna in treccia di nylon anti abrasione che non viene calzata sul tubo raccordato ma trecciata direttamente sul tubo a mezzo di bussole acciaio inox oppure ottone. Questa lavorazione permette di ottenere una resistenza allo scoppio almeno doppia rispetto ad un tubo tradizionale, La calza di nylon che lo riveste, oltre a garantire un'ottima resistenza all'abrasione aiuta a ridurre eventuali perdite in situazioni di emergenza grazie alla naturale tendenza a chiudere i fori, che caratterizza la trecciatura sottoposta a pressione.
buone bolle!!!
mercoledì 21 gennaio 2009
I VANTAGGI DEL NITROX
per farvi un'esempio, la "normale" bombola, contiene il 21% di aria, 79% d'azoto e una piccola percentuale di altri gas(0.01%), le maggiori didattiche hanno adottato uno standard per i corsi nitrox ricreativi dal 22% al 40%.
L'azoto(N2) è il principale responsabile di numerosi fattori negativi, è un gas inerte e quindi non prende parte ai processi metabolici del corpo umano. Per i vari processi che ne determinano l’assorbimento, esso è responsabile delle due principali problematiche che si manifestano durante un’immersione:
· MDD malattia da decompressione.· Narcosi da azoto.
Ecco quindi che inizia a delinearsi il motivo di aggiungere ossigeno(O2) e il diminuire l'azoto nella miscela...abbiamo risolto tutti i problemi????no, perchè l'ossigeno respirato ad alte pressioni(profondità), può causare dei problemi rilevanti, Vogliamo mettere subito in evidenza la grande 'limitazione' del nitrox: la profondità. Il nitrox non è una miscela a scopo profondistico anzi riduce la massima profondità raggiungibile. Infatti se con l'aria la massima profondità operativa è di 56 mt (accettando un ppO2 =1.4) con il nitrox32=EAN32(Enriched Air Nitrox) la profondità operativa scende a 33 mt. Più aggiungiamo ossigeno e più la profondità operativa decresce, ma decresce simultaneamente anche l'azoto, ecco quindi il grande vantaggio:
un assorbimento del gas inerte(N2) ridotto e quindi una maggior sicurezza! inoltre si può estendere i limiti di NDL(no-decompression limit) e i tempi di "attesa" in caso si voglia effettuare una seconda immersione. I vantaggi appena elencati non sono cumulabili, quindi dobbiamo decidere in base al piano immersione giornaliero.
Ultimamente quasi tutte le didattiche parlano di pony tank, una piccola bombola ausiliaria da utilizzare in caso d'emergenza con la stessa miscela di quella di fondo...immaginate ora di cambiare il pony tank con una bombola(magari di alluminio) di medie dimensioni(7l) caricata con nitrox32,l'immersione si svolge su di una parete che scende fino ai -40...dopo un certo periodo di tempo trascorso alla quota più profonda, vi accorgete di essere arrivati quasi al limite ndl del vostro computer, risalite lentamente fino alla quota dei -33 e quì fate il cambio di bombola e segnalate al vostro computer l'avvenuto "switch", ecco che i tempi di ndl tornano a crescere e in questo modo potete godervi ancora la stupenda parete e iniziare la lenta risalita verso quote meno profonde...con questo esempio che supera la normale immersione ricreativa, voglio farvi capire quanto sia importante il nitrox che è a tutti gli effetti il trampolino di lancio verso una subacquea più responsabile! Non trascuriamo nemmeno il fattore "tek", infatti per iniziare a frequentare un corso tecnico, bisogna prima essere passati dal nitrox e averlo fatto molto bene!
buone bolle
martedì 20 gennaio 2009
KIT OSSIGENO E SUBACQUEI
Stefano Ruia
Tra i menbri della PSS vi è anche Stefano Ruia, notissimo subacqueo di fama nazionale ed internazionale, che ha curato e cura la stesura dei manuali nonchè si occupa della parte tecnica della PSS e valuta gli istruttori, scrive per "Il Subacqueo".
Ho fatto la conoscienza di Stefano durante il corso istruttori, che dire? sono rimasto piacevolmente colpito dal suo metodo, brillante e divertente!Niente favoritismi di sorta, ma solo chi meritava di essere promosso poteva fregiarsi alla fine del titolo di istruttore PSS...altri che pensavano di essere giunti all'appuntamento per una comoda passeggiata...sono tornati miseramente a casa...senza brevetto!
Andrea Neri
Nella foto a fianco, io e Andrea Neri(sx)
istruttore con un'infinita esperienza, fondatore e trainer di UTR, didattica che opera nel campo tecnico e ricreativo, direttore di una scuola sub(SCUBATEKNICA) che porta avanti con passione e tante iniziative, scrive per "MondoSommerso".
Lo potete trovare al Chioma diving center, sempre alle prese con i vari allievi, ma se avete bisogno di un consiglio, sarà disponibile per una bella conversazione sulla subacquea!
MEMBRO STAFF NDL
CAPO STAFF NDL
Questo sono io, Cristian...bella faccia da schiaffi!
Sempre desideroso di andare in acqua e mettere a frutto i nuovi insegnamenti per una postura e attrezzatura "pulita" con tanto di lunghi e interessanti dibattiti tra amici ...sono istruttore subacqueo PSS, attualmente insegno presso una scuola di formazione subacquea(KON TIKI SUB FIRENZE). La mia passione porta le mie pinne dai profondi fondali ricchi di vita, fino al più piccolo e poco profondo litorale sabbioso, in cerca di soggetti particolari(magari rari in altri ambienti) da fotografare e studiare.
Le immersioni profonde sono la mia droga, per questo motivo ho iniziato a frequentare
corsi specifici per affrontare con sicurezza e più divertimento l'avventura nel blu più blu!
BUONE BOLLE!!!
lunedì 19 gennaio 2009
MEMBRO STAFF NDL
E' con immenso piacere che pubblico questa foto. Il corso istruttori è una tappa indimenticabile nel percorso formativo di un subacqueo. Così è stato per noi, che abbiamo trovato dei nuovi amici per condividere le meravigliose emozioni che solo il mondo del silenzio può donare!
Tutto questo è stato possibile anche grazie agli organizzatori dell'evento!Il famoso Stefano Ruia, l'indimenticabile Giuseppe Minopoli, L'instancabile Fabrizio e tutto lo staff di PSS, che ha seguito passo passo i candidati fino alla fine...il risultato è stato eccellente, per la prima volta in molti anni di corsi istruttori, sono stati promossi tutti!
alcuni nomi della foto, da destra:Alberto, Sergio, Enrico, Daniele, Gianni, Cristian, Pasquale e un ragazzo che lavorava in Egitto e di cui non ricordo più il nome!
Ricordi di Sharm...
VECCHI RICORDI SULLA DECOMPRESSIONE
Mondo sommerso – gennaio 1965
Il segreto delle tabelle.
Dalle pericolose esperienze di due noti profondisti sembra affacciarsi qualche nuovo elemento nel calcolo dei tempi di decompressione. Non sarebbe in verità la prima volta che la pratica personale fa da battistrada alla scienza.
Riferirò di una mia esperienza della scorsa stagione, nella speranza che la sua singolarità richiami l'attenzione dei fisiologi dell'immersione con autorespiratori ad aria. Aggiungerò alcune mie considerazioni, con particolare riguardo alla narcosi di profondità.
Ritengo che sia un dovere di quei pochissimi che usano compiere immersioni molto profonde (oltre i 70 metri) tenere conto della loro esperienza pratica, e di riferirne ai teorici. Sono convinto infatti che soltanto questa collaborazione possa far conseguire all’uomo cognizioni sicure: quando si tratta di dare veste matematica, e cioè scientifica, a un genere di esperienze estremamente rare e condotte ai limiti della sperimentabilità fisiologica, non ho detto che il doppio di due continui a essere quattro. Sappiamo bene che soltanto certi risultati atletici hanno talora indotto i fisiologi a rivedere alcune convinzioni, già tenute per assolute. Da vari anni ho effettuato, con i miei compagni, decine di immersioni oltre i 70 e fin oltre i 90 metri, senza incidenti. Questa estate, per la prima volta, sia io che il mio compagno d'immersione Giorgio Barletta siamo stati colpiti da embolia (in forma non grave, senza cioè necessità di ricovero in camera di decompressione). Ciò non è stato dovuto a nostra imprudenza, né ad accidenti qualsiasi: abbiamo rispettato come sempre le vecchie regole. Lo strano é appunto questo, e il caso merita discussione.
Nella nostra lunga esperienza, non avevamo mai effettuato due immersioni entro le sei ore alla medesima elevata profondità. Nostra abitudine era di compiere la prima alla profondità maggiore, e la seconda a quote inferiori di una ventina di metri. Per esempio: la prima immersione a 80 metri, la seconda sui 60, rispettando naturalmente la tabella per immersioni successive (quelle recenti del GERS). Questa estate abbiamo invece effettuato numerose immersioni entro tre ore e costantemente a quote tra i 70 e gli 85 metri, con punte più fonde, sia nella prima che nella seconda immersione. La differenza del nostro comportamento, in rapporto al passato, è soltanto qui. Inutile aggiungere che abbiamo sempre rispettato le tabelle per immersioni successive (ripeto: GERS), che sono ovviamente un nostro comune “strumento di lavoro”. Abbiamo inoltre rispettato le indicazioni dei nostri decompressimetri. Ciò nonostante, Giorgio Barletta ed io siamo stati colpiti da embolia insieme, alla risalita da una “seconda immersione”; io sono stato colpito una seconda volta, più seriamente, sempre dopo una “seconda immersione”, quando Barletta non si era immerso e mi trovavo invece con Fausto Zoboli, il quale ha effettuato una decompressione assai diversa dalla mia, ed è stato benissimo.
Questo ricorrere dell'embolia dopo la seconda immersione, compiuta entro tre ore dalla precedente, mi ha ricordato che le embolie prese dai pescatori di corallo sono quasi di regola intervenute dopo la seconda immersione, sempre compiuta a due-tre ore dalla precedente, e alla medesima profondità media.
Discesa a 80 metri in un minuto
Ma ecco il nostro caso nei particolari. Prima immersione (io e G. Barletta) su un banco di corallo con escursioni tra i 75 e gli 80 metri; durata della permanenza sul fondo: 12 minuti; lavoro medio; decompressione: 15 minuti a 6 metri, 40 minuti a 3 metri. Una decompressione, dunque, decisamente abbondante. Seconda immersione dopo tre ore e dieci minuti dalla risalita (in barca) della precedente. Quota di lavoro: 80-82 metri; permanenza: 13 minuti; decompressione: 25 minuti a 6 metri, 45 minuti a 3 metri. La lancetta del mio decompressimetro stava entrando in zona bianca, quella di G. Barletta (i decompressimetri non funzionano praticamente mai in modo identico, anche se portati allo stesso braccio di una medesima persona) era ancora nell’ultima zona rossa, quella cioè che riguarda le immersioni di durata fino a due ore. Ho tralasciato di indicare i tempi di discesa e di risalita, poiché la discesa a 80 metri di un corallaro dura circa un minuto (si scende senza cintura di piombi ma con un grande masso nel cesto in guisa di zavorra da mollare nell’atterraggio) e non ha quindi sensibili effetti sulla durata di permanenza totale, mentre la risalita è forzosamente lenta (e faticosa) per il peso del corallo nel cesto e per la pressione che ad alte quote riduce sensibilmente i volumi comprimibili del corpo e della muta. Dopo questa seconda immersione siamo stati colpiti entrambi da embolia. Il mio compagno con malessere generale, sensazione caratteristica di blocco al diaframma, dolenzia alla spalla destra, sordità, febbre a 38,7. Io con dolori molto violenti alla spalla sinistra, durati fino all’immersione del giorno successivo. Poiché risultava evidente che non eravamo colpiti in centri nervosi (midollo, eccetera), abbiamo deciso di non ricorrere alla camera di decompressione, situata a parecchie ore di distanza.bIl mio compagno, ancora febbricitante il giorno appresso, ha atteso altre ventiquattr’ore per l’immersione. Da questa ha avuto benefìcio, ma gli è rimasta una certa sordità che va attenuandosi a tutt’oggi molto lentamente. Io mi sono invece immerso il giorno dopo: ho trovato sollievo alla quota di 30 metri: il dolore è scomparso del tutto ai 50 circa, e non si è più rinnovato. Per prudenza, in questa giornata mi sono limitato a una sola immersione, pur rimanendo per 15 minuti tra gli 80 e gli 85 metri nell’unica immersione effettuata, seguita da una lunghissima decompressione(un’ora e 15 minuti). Nel secondo caso, facevo coppia con Fausto Zoboli. Prima immersione tra i 76 e gli 82 metri. Permanenza sul fondo di 12 minuti scarsi. Per la decompressione, Zoboli si è fermato come suole ai 18 metri, risalendo successivamente ai 15, 12, 9, 6 e per pochissimi minuti ai 3. La durata complessiva della sua decompressione è stata di mezz’ora, con la sosta più lunga ai 9 metri (circa 16 minuti, se ben ricordo). Io mi sono attenuto alle regole “ufficiali”, andandomi a fermare molto più su, cioè ai 6 metri, con la sosta più lunga ai 3 (anche le tabelle di Albano seguono questo criterio dei 6 e dei 3 metri, con la sosta più lunga ai 3). La mia decompressione è durata complessivamente 45 minuti, un quarto d’ora più di quella di Zoboli.
In barca ho discusso con Zoboli sulla questione, osservandogli che la sua solita decompressione di mezz’ora, per immersioni di una decina di minuti tra i 70 e gli 80 e più metri, era qualcosa di troppo empirico e pericoloso: avrebbe dovuto allungarla di almeno dieci minuti. Fausto Zoboli mi ha risposto che da quando effettuava questo tipo di decompressione, era sempre stato benissimo. Ha aggiunto che secondo lui, dopo immersioni così profonde e prolungate, immersioni di lavoro, la vera decompressione doveva avvenire alla quota di 9 metri. “Se io facessi decompressioni come le fai tu”, ha detto, “cioè a partire dai 6 metri, sarei già morto da un pezzo”.
Dopo tre ore siamo nuovamente scesi a 80-85 metri, con una puntata a 87-88. Abbiamo lavorato 10 minuti circa, io uno di più. Zoboli ha compiuto la sua solita decompressione di mezz’ora; io sono stato alle regole e al decompressimetro, con una decompressione di circa un’ora. Zoboli è stato benissimo, io sono stato colpito da una nuova embolia a una spalla (destra, questa volta), con dolori fortissimi, intervenuti a due ore di distanza dalla risalita in barca con intensità progressiva. Fausto Zoboli mi ha ripetuto che io ero assolutamente matto a fare decompressioni del genere, e io invano protestavo che nel giusto avrei dovuto essere io e non lui, col suo sistema empirico. Ma il fatto era che lui stava bene e io ero conciato per le feste.
Tornato in porto (Santa Teresa di Gallura), sono sceso ai 15 metri per una decompressione terapeutica di un’ora, con tappe ai 9, 6 e 3 metri. Risalito, mi sono sentito molto meglio, ma non ancora perfetto: la spalla doleva ed era “pesante”, soltanto le fitte acute erano sparite. Al momento di attraccare alla banchina con la barca, un pescatore mi ha chiesto la cortesia di andargli a cercare una nassa d’aragoste, perduta nel torbido lì davanti. Ho rimesso l’apparecchio e ho esplorato il fondo, a una decina di metri di quota, per un quarto d'ora. Sono quindi risalito adagio ma direttamente, senza soste. Non sarei dovuto incorrere in inconvenienti di sorta, e invece, appena emerso, il dolore acuto allaspalla è tornato di colpo. E’ durato, in crescendo, per tutta la sera, la notte e la mattina successiva, fino a quando cioè, non mi sono nuovamente immerso per trovare guarigione. La quota di sollievo, questa volta, l’ho avuta a 70 metri! Ho poi compiuto una decompressione di due ore e dieci minuti, secondo i consigli di Zoboli, a partire dai 20 metri, con lentissima progressione fino a 9 metri, quota alla quale ho effettuato la sosta più lunga (circa un’ora). Sono risalito in barca nettamente migliorato, ma non ancora perfettamente guarito. Per riavere la spalla perfetta ho dovuto attendere altri tre o quattro giorni, con nuove immersioni molto profonde seguite da decompressioni molto lunghe e sempre a partire da quote basse, dai 15 ai 9 metri. Oggi non ho il minimo risentimento, e le spalle reggono egregiamente anche se sottoposte a fatica grave (ho provato, per esempio, nel sollevamento pesi).
L’embolia alle spalle, dirò tra parentesi, è abbastanza frequente nei sommozzatori che usano compiere lavori, e ciò è probabilmente dovuto alla posizione verticale che essi generalmente assumono in acqua (mentre lo sportivo, il pescatore, sta in posizione prevalentemente orizzontale od obliqua) Nella posizione verticale, il peso dell'autorespiratore è sostenuto dagli spallacci, i quali premono sulle spalle e rendono difficoltosa la circolazione. Il peso effettivo dell’apparecchio in acqua, com’è noto, è di pochi chili anche se esso sia molto carico oppure decisamente “negativo”; ma occorre ricordare che la circolazione sanguigna periferica è anche alquanto ostacolata, a grandi profondità, dalla pressione esercitata sulla pelle dalla muta di neoprene espanso; chi lavora, infine, muove le braccia tenendo le mani all’altezza del viso, per ragioni di visibilità: tutte circostanze che pongono la spalla in condizioni di fatica circolatoria, se così posso esprimermi. Questo fatto noi lo avvertiamo in modo diretto, con un senso di affaticamento e pesantezza, che si fa particolarmente intenso durante certe lunghe decompressioni, quando c'è mare mosso e non si riesce a stare attaccati alla cima della barca in un modo quieto e regolare: la spalla subisce continuamente strappi, colpi e contraccolpi,molto spesso il sommozzatore deve mettersi in posizione orizzontale, con il braccio teso per tenersi alla corda, e così è sempre la spalla a fare le spese di un notevole sforzo.
Per concludere sulla questione della decompressione, noterò ancora che se è risaputo che vi sono individui predisposti a subire eventi embolici, né io né Giorgio Barletta lo siamo, per un’obbiettiva e vecchia esperienza di centinaia di immersioni. Rimane dunque da ammettere che, sul piano pratico, dopo una seconda immersione ad alta profondità entro poche ore dalla precedente anch’essa molto profonda, è più sicura una decompressione empirica del tipo messo in atto da Fausto Zoboli, che non una decompressione del tipo indicato dalle moderne tabelle. Evidentemente questo caso-limite va ristudiato. Personalmente, ho adottato il sistema di Zoboli (lunga sosta ai 9 metri e brevissima ai 3) e mi sono trovato benissimo. Ma tutto questo è maledettamente empirico, e mi piacerebbe tanto che uno dei nostri amici medici me lo spiegasse per bene. Sarebbe anche estremamente interessante saperecon precisione il tipo di decompressione usato da altri profondisti di mestiere: sono così pochi che due mani sono fin troppe per contarli sulle dita; ma appunto per questo ogni loro personale esperienza è doppiamente preziosa, io ho raccontato umilmente la mia; vorranno fare altrettanto i miei gentili colleghi? Coraggio, non si tratta di segreti atomici.